ERNESTO MORALES. POSSIBLE PLACES

12 Ernesto Morales. Gli spazi del possibile E così sono le architetture di Morales: sterminati spazi del possibile sui quali una grafia nervosa scrive storie che non possiamo leggere, anche questa – così come le sottili linee colorate poste a scandire il percorso – offertaci come un appiglio di realtà, come un punto d’equilibrio a ricostruire un tempo che si perde in una linea infinita verso l’orizzonte e che al tempo stesso si attorciglia nella spirale di un unico presente Poi ci sono gli Equinozi , realizzati nel 2015 dopo un viaggio dell’artista in Oriente L’iconografia piana dei ponti dell’anno precedente si arricchisce qui di una simbologia potente all’interno di una ricerca rigorosa intorno al neoplatonismo e al concetto di trasformazione e di rinascita, ricerca condensata nel momento – l’equinozio appunto – in cui il dualismo si cristallizza nella perfetta equivalenza del giorno e della notte Mentre la città, sullo sfondo, si riduce a una presenza fantasmatica di forme geometriche o di fughe prospettiche, nelle quali riusciamo appena a intuire un borgo turrito o un pontile che affonda nel mare fino quasi a sfiorare l’orizzonte, lo spazio è invaso da elementi simbolici come l’uovo o la rosa bianca, che sembrano poggiare su vaghe formazioni di nuvole; un soggetto – quello delle nuvole – che tornerà prepotentemente nel lavoro dell’artista, assumendo una rilevanza nodale Il dualismo che si riconcilia nel concetto simmetrico dell’equinozio trova qui una sua corrispondenza iconografica e stilistica in una doppia anima: da un lato la matrice quasi astratta dello sfondo, dall’altro la minuzia descrittiva del dettaglio E sembra vincere l’astratto in un lavoro sontuoso, splendente e sensuale come Il giorno come la notte , grandioso dittico (ancora sul tema dell’equinozio) in cui per la prima volta la pittura dell’artista viene invasa dall’oro, altro cardine – oggi – del suo lavoro La potenza luminosa di uno dei materiali più carichi di significati di tutta la storia dell’arte mondiale – pensiamo solo all’arte orientale, ai mosaici bizantini o al nostro Quattrocento – trova nel lavoro di Morales una voce nuova Agendo come un alchimista e preparando i colori da sé e solo con materiali naturali, l’artista crea tinte che possiedono una prodigiosa sensibilità alla luce, modificandosi alla minima variazione e addirittura creando effetti stranianti al movimento dello spettatore che le sta osservando E qui, in questo lavoro, l’oro palpita, respira, si accende nel trionfo del giorno e si acquieta nei sussurri della notte, si anima di sfere fluttuanti che appaiono o scompaiono a seconda di come vi batte la luce e di costellazioni vibranti, si illumina in contrappunti di bianco e si modella in pennellate calde, gestuali, potenti; segni pittorici nei quali si leggono le setole del pennello e l’urgenza della pittura Una pittura che qui rompe gli argini, dilaga, cresce anarchica e libera, facendosi appena addomesticare dalla sensazione di un orizzonte, ma subito ribellandosi in colature, acquisendo la calma potenza di un color field di Mark Rothko

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